Televisione

Con Agrodolce la Einstein ci ha rimesso

Ufficio stampa Einstein Fiction Roma NELL’ ARTICOLO “Sipario su Agrodolce, un flop da dieci milioni”, pubblicato ieri, Antonio Fraschilla scriveva: «La macchina s’ inceppa perché Einstein per la seconda e terza serie chiede più soldi». Einstein, infatti, ha ottenuto per la prima serie un contratto di circa 24 milioni e mezzo di euro. Tuttavia, a causa delle richieste editoriali Rai, la Einsteinè stata costretta a sostenere costi per oltre 27 milioni di euro, perdendo così nella prima serie 2,7 milioni di euro. Tale somma, nonostante sia stata riconosciuta dal monitoraggio interno Rai, non è stata mai rifusa dalla Rai alla Einstein. Per la seconda e terza serie il contratto con Rai è sceso da 24 milioni e mezzo a 21 milioni di euro. Tale cospicuo taglio del budget è stato giustificato con la programmazione biennale che avrebbe consentito sia il recupero delle perdite della prima serie sia un risparmio dei costi di produzione dovuti alla cosiddetta “lunga serialità”. Dopodiché, la Rai ha cancellato unilateralmente la terza serie prima che questa venisse prodotta, programmata e valutata. Quindi Einstein non ha mai chiesto più soldi ma al contrario, nonostante le perdite riconosciute, ha subito un consistente taglio del budget. Einstein non si è poi «fermata» e non ha chiesto «pagamenti arretrati sulla prima serie e anticipazioni sulla seconda». Einstein ha visto tra la prima e la seconda serie maturare ulteriori extra-costi per altri 6 milioni e si è ritrovata nel marzo del 2011 con fatture inevase per 4 milioni e 660 mila euro. Tutto ciò, nonostante fossero già state consegnate 25 puntate, mai contestate dalla stessa Rai, e altre 25 puntate fossero già state realizzate e pronte per essere consegnate. Quindi Einstein è l’ unico soggetto ad avere per la produzione della seconda serie investito, anticipato, speso e perduto ingenti capitali. Per questo, il 17 ottobre scorso, ha depositato un ricorso d’ urgenza, rimettendo alle competenti autorità il riconoscimento dei propri diritti.

Fonte La Repubblica

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